Grande successo per l’apertura di TriesteLovesJazz, giovedì in piazza Hortis, con una piazza affollata da centinaia di persone  e un pubblico attento e soddisfatto, sicuramente incuriosito dal sound desueto e suggestivo che ha caratterizzato entrambe le performance della serata d’esordio.

“Dischi volanti” sonori, “bacchette (della batteria!) magiche” e giochi per bambini che suonano come il sassofono: questo a delineare l’ironia intelligente che ha affiancato l’incredibile bravura, l’originalità, la precisissima ricerca sonora del giovane duo austriaco Auer-Delago, che ha aperto il festival (nella foto, di Massimo Goina). Christoph “Pepe” Auer usa il clarinetto basso con estrema disinvoltura e maestria per farne ora una voce, ora il timbro suadente della natura, o ancora la ritmica percussiva del funky o del groove (molti i brani originali, raffinatissimo l’omaggio ai Nirvana, irresistibile la citazione dei Queen); in perfetta sintonia (splendido l’interplay e impeccabile l’intonazione) l’hang drums di Manu Delago che riesce ad estrarre da questo strumento nuovo, ancora così poco sfruttato (delle percussioni composte da doppie piastre metalliche intonate, dai mille colori di suono), dei risultati davvero inauditi: accordi, arpeggi di accompagnamento, ritmiche tra le più articolate, suoni ora asciutti ora incredibilmente armonici, per un connubio davvero felice.

A seguire ancora ricerca sonora tra Giappone e Argentina: i Gaia Cuatro – che si sono esibiti attorno alle 22.15 – sono Aska Kaneko al violino e Tomohiro Yahiro alle percussioni, Carlos “el tero” Buschini (basso e contrabbasso) e Gerardo di Giusto (pianoforte),  un quartetto all’insegna della passionalità, dell’energia, dell’improvvisazione raffinata. Trascinante la forza della violinista giapponese che con lo strumento (che fa cantare con una proprietà e un vigore davvero rari da ascoltare in ambito jazz) guida le atmosfere sul palco, dal calore ruvido delle sonorità latine (perfettamente coadiuvate in particolare dal bravissimo Carlos Buschini) all’intimità dei “modi” orientali (che Aska riproduce anche con una voce calibratissima e strumentale, come nelle migliori occasioni jazz) fino alla nobile astrazione dell’improvvisazione, che fonde due caratteri così diversi (nella musica, nelle scelte armoniche, nel temperamento) come quello sudamericano e quello dell’estremo oriente per un sound suadente, elegantissimo e ricco di tensione.

C.E.